Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l’immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli…
Non so se mai Robert Redford avesse ascoltato Francesco Guccini, ma la scomparsa, in questi giorni, a 89 anni di Sundance Kid, certamente, per il sottoscritto, può, per certi versi, essere riassunta con questa frase.
E Redford “giovane e bello” lo è restato fino alla fine!
Uno degli ultimi “grandi vecchi” del cinema hollywoodiano, Robert Redford è stato attore, regista, produttore, figura indipendente impegnata nella cultura e nella politica del suo tempo, sognatore ribelle ed attivista appassionato, vero e proprio “divo-anti-divo” che sognava un cinema responsabile e che lottava per un mondo migliore.
Bello! Bellissimo! Amato dalle donne di tutto il mondo e di ogni età, è stato un ardente ambientalista, pacifista, un fiero sostenitore della responsabilità sociale e dell’impegno politico, Robert Redford, grazie alle sue opere, resterà impresso per i suoi film che hanno spesso aiutato l’America (e non solo!) a comprendere meglio se stessa… anche quando questa, appariva brutta, bruttissima.
Ed è forse soprattutto oggi (e negli anni a venire), dove l’America ha distrutto profondamente il suo “american dream” fatto di illusione, magia ed innocenza, che si può comprendere la perdita di un autore come Redford.
Si potrebbero scrivere davvero fiumi di pagine su di lui e su ogni sua pellicola, sui festival indipendenti che ha diretto, su vere e proprie pietre miliari della storia del cinema… film che brillano per interpretazione, sceneggiatura, risvolti politico-sociali sempre specchio dell’epoca a cui sono riferiti e allo stesso tempo “immortali” perché autentici, universali, “romanzi moderni”.
Redford ha davvero rappresentato un autore responsabile della mia formazione culturale, con film diversissimi tra loro, come ad esempio La caccia, Questa ragazza è di tutti, A piedi nudi nel parco, Butch Cassidy, Il candidato, Corvo rosso non avrai il mio scalpo!, Come eravamo, La stangata, I tre giorni del Condor, Tutti gli uomini del presidente, Brubaker, Spy Game, Leoni per agnelli… diversissimi per soggetto, registro, stile, linguaggio, ma sempre con tratti per cui sono leggibili impegno, profondità tematiche, responsabilità. Li ho letteralmente amati alla follia!
Ci sono film che hanno davvero rappresentato l’essere “radical e progressista”, inteso all’americana… per noi europei concetti spesso assimilati alla “sinistra”, seppur con grandi ed importanti differenze. Redford ha comunque saputo denunciare in tate sue opere, un “sistema” corrotto, una politica corrotta e decadente, una società civile vittima sacrificale del Potere… sempre però cercando di rappresentare anche la possibilità di riscatto, di rivalsa contro quel potere corrotto, facendo leva sulla “verità dei fatti”, sull’informazione pulita, sulla deontologia professionale di giornalisti, avvocati, membri delle Istituzioni.
È il caso di Brubaker, pellicola del 1980 del regista Stuart Rosenberg in cui Redford è attore. La storia è tratta dal libro “Accomplices to the crime: the Arkansas prison scandal”, pubblicato nel 1969, in cui il penalista Thomas Murton raccontava di come avesse lottato per un decennio con tutte le sue forze per riformare il sistema carcerario dell’Arkansas, più simile al sistema di gestione dei lager nazisti che a un ramo amministrativo di una nazione civile.
Come spesso è accaduto, per Redford, affrontare le problematiche sull’uso scellerato del potere, risulta una necessità. L’America è da sempre paese dalle immense contraddizioni, e questo film-denuncia nasce esattamente da questa necessità, come se fosse un “dover essere” kantiano… quasi come si trattasse di qualcosa alla base di quella etica deontologica fondata sul dovere, un imperativo categorico, un comando incondizionato che scaturisce dalla ragione e dalla libertà dell’essere umano…
Del resto, qui, attore e personaggio si sovrappongono… Redford e Henry Brubaker, sono la stessa cosa!
Nell’infernale carcere di Wakefield, in Arkansas, non c’è bisogno di molte guardie. A gestire i prigionieri, infatti, sono utilizzati i cosiddetti «affidabili», detenuti considerati meritevoli d’esercitare sugli altri un controllo che sfocia nel dominio assoluto. Tutte le cariche amministrative del carcere sfruttano la forza lavoro interna, come se fosse composta da schiavi privi di diritti, in un sanguinario circolo virtuoso di cui gode tutta la comunità che vive intorno al penitenziario.
I prigionieri lavorano nei campi, riparano edifici, sbrigano ogni forma di lavoro senza alcun riconoscimento. In cambio, ottengono violenze, pasti disgustosi, pessime condizioni d’abitabilità e trattamenti ai limiti dell’umano che, in alcuni casi, conducono i più sfortunati alla morte. Tra i denti di questo ingranaggio maledetto s’infila Henry Brubaker, un prigioniero apparentemente come gli altri, che però nasconde un incredibile segreto.
Criminologo con esperienze nell’esercito, entra in incognito come un delinquente comune, deciso a impiegare alcune settimane per rendersi conto delle reali condizioni in cui versa Wakefield. Prima di rivelare a tutti la sua identità di nuovo Direttore dell’Istituto, vuole infatti scavare il più a fondo possibile nei segreti di quel luogo.
Scopre, così, che dietro la parvenza di un’autogestione positiva, si nasconde uno scenario che supera, e di molto, le più terribili previsioni. A Wakefield ogni genere di servizio, dal rancio alle cure mediche, dalle condizioni delle celle al mantenimento dell’ordine interno, è regolato attraverso un incancrenito sistema di corruzione. Per curarsi, mangiare o sopravvivere è necessario pagare.
Toltosi la maschera per salvare la vita di un carcerato dalle mani di un giovanissimo Morgan Freeman, Brubaker inizia a smantellare il radicato impianto di malaffare che aleggia sulla prigione, scatenando la reazione di chi, per anni, aveva prosperato sulle spalle dei detenuti.
La lista dei suoi alleati, però, si assottiglia sempre di più quando, in seguito alle rivelazioni di un anziano detenuto di colore, poi torturato e ucciso, scopre alcune fosse comuni nei terreni intorno alle piantagioni.
Lo scandalo rischia di coinvolgere sfere troppo alte della politica nazionale e così, dopo averlo inizialmente sostenuto, Brubaker è lasciato solo e, alla prima occasione, esautorato.
Al momento del congedo, durante il discorso d’insediamento del nuovo Direttore, che annuncia il ripristino di tutti i precedenti criteri di gestione del carcere, i detenuti rompono le righe e si portano lungo la rete del campo più esterno, per salutare l’unico uomo che avesse davvero provato a trattarli come esseri umani, ammettendone infine il valore. Quel valore che, durante il film, non era mai stato riconosciuto loro, nemmeno di fronte all’evidenza.
Memorabile per molte ragioni, oltre che per il finale da pelle d’oca, Brubaker fu candidato, senza vincerlo, all’Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale. Rappresenta ancora oggi uno splendido vessillo del cinema d’impegno, di cui Robert Redford è sempre stato portavoce solenne e magnifico.
A volte per raggiungere un nobile obiettivo, partendo da una storia vera, è necessario magari anche romanzare un po’ pur di colpire in profondità l’opinione pubblica.
Nel caso di Brubaker questa affabulazione (davvero restano memorabili tanti dialoghi del film!) ebbe lo scopo di trasmettere un potente messaggio, ulteriormente amplificato dal potere del grande schermo, mostrando un sistema carcerario marcio, dominato da pratiche illecite, abusi di potere e omicidi che vengono sistematicamente ignorati dalle Istituzioni.
Corruzione, violenza e disumanità all’interno del sistema carcerario, sottolineano l’importanza della riforma penitenziaria e della lotta per i diritti umani contro un sistema corrotto che insabbia le ingiustizie per proteggere se stesso.
Se non è moderno, attuale ed universale questo…!?
«… Per me c’è solo un peso e una misura… Non vedo insieme gioco politico e verità… Si possono accettare i compromessi per le strategie, non per i principi».